1. Il ruolo del consulente nel processo penale: “soggetto endoperitale" o autonomo mezzo di prova.
Ai sensi dell’articolo 225, primo comma, del codice di procedura penale, «disposta la perizia, il pubblico ministero e le parti private hanno la facoltà di nominare propri consulenti tecnici in numero non superiore, per ciascuna parte,a due». Dispone inoltre l’art. 233. co. 1, c.p.p., come, anche nel caso in cui non venga disposta perizia, ciascuna parte abbia comunque la facoltà di nominare, sempre in numero non superiore a due, propri consulenti tecnici.
Le parti quindi, quando hanno interesse a provare un fatto in campo tecnico o scientifico utile ai fini della causa, hanno la facoltà di nominare propri esperti che espongano il loro parere al giudice.
Prima di addentrarci nello studio dei poteri e dei limiti che la legge nel processo penale attribuisce a tali soggetti, facendo un particolare riferimento alla particolare situazione processuale che vede l’imputato indagato per asseriti fatti, è bene analizzare sommariamente quale sia la natura della consulenza tecnica.
Il sistema adottato dal codice di procedura penale del 1930 è stato abbandonato radicalmente con il nuovo codice del 1988, di stampo accusatorio.
Strettamente legato al sistema accusatorio è il cosiddetto “diritto di difendersi provando”. Esso si manifesta, da un lato, nel diritto di interrogare i testimoni a carico, dall’altro lato nel diritto di ottenere l’ammissione di prove a discarico. Di conseguenza, qualora le prove a discarico siano relative a materie di alto contenuto tecnico scientifico, la efficacia dei diritto di difesa impone che l’imputato abbia la possibilità di avvalersi di soggetti dotati delle necessarie competenze tecnico scientifiche o psicologiche.
Di tale esigenza si è fatto carico l’art. 111 della Carta Costituzionale, così come modificato dalla legge sul giusto processo, quando prevede il diritto <>.
Tale assunto infatti sembra avere una portata generale che ben può ricomprendere anche persone esperte in particolari campi.
Occorre però a questo punto chiedersi se davvero il codice di rito del 1988 abbia inteso introdurre i principi del sistema accusatorio anche nel campo delle prove tecniche o se piuttosto non sia rimasto ancorato alla tradizione.
Il dubbio sorge legittimo se si considera la dottrina minoritaria e la giurisprudenza che, all’indomani dell’entrata in vigore del codice, ha sostenuto come l’unico scopo della consulenza peritale sia convincere il giudice della necessità di disporre perizia, dando così una interpretazione restrittiva dell’articolo 233 c.p.p., che dispone come i consulenti tecnici nominati dalle parti quando non è stata disposta perizia dal giudice possano <>, nonché, dietro autorizzazione del giudice, <<..esaminare le="" cose="" sequestrate="" nel="" luogo="" in="" cui="" esse="" si="" trovano="" intervenire="" alle="" ispezioni="">> ovvero esaminare l’oggetto delle ispezioni alle quali non siano intervenuti. Secondo tale filone minoritario di dottrina e giurisprudenza soltanto nell’ambito della perizia sarebbe possibile un apporto costruttivo dei consulenti di parte, e anche in questo caso l’apporto probatorio dei consulenti sarebbe filtrato dalla figura del perito.
Il valore probatorio della CTP pare venire confermato da tutt a una serie di dati normativi. In primo luogo la introduzione dell’art. 233 nel libro del codice di rito dedicato alla prova è argomento esegetico da non sottovalutare.
Soprattutto, il suo inserimento tra i mezzi di prova indica inequivocabilmente come il consulente si affranchi dal ruolo di semplice ausiliario e consigliere della parte per assumere quello di fonte di prova. Si è così sostenuto come, mediante l’escussione dibattimentale, il consulente diviene “soggetto” di prova. (KOSTORIS, 1993, p. 306) A conferma di tale impostazione vi è poi l’articolo 422 del codice di procedura che inserisce tra le prove decisive ai fini della sentenza di non luogo a procedere, accanto a periti e testimoni, anche i consulenti tecnici.
La consulenza tecnica extraperitale può ormai quindi ben considerarsi un mezzo di prova tipico e nominato nell’ordinamento processuale italiano, distinto sia dalla perizia che dalla testimonianza. Inquadrata la natura della consulenza tecnica extraperitale, appare quindi necessario esaminare i poteri conferiti dal legislatore all’esperto di parte ai fini dell’espletamento del suo incarico. I poteri del consulente extraperitale sono descritti in via principale dagli articoli 230 e 233 del codice di procedura penale.
2. Quali sono i poteri propri del consulente tecnico di parte.. 2.1 ..quando è nominato il perito?
L’art. 230, co. 1, dispone come in primo luogo i consulenti tecnici possano assistere al conferimento dell’incarico peritale e presentare al giudice richieste, osservazioni e riserve in merito a tale punto, dando così un corpo al generico diritto di essere “sentiti” ai sensi dell’art. 226, co. 2 del codice di rito.
Il secondo comma dell’art. 230 c.p.p. tratta poi della partecipazione dei consulenti tecnici alle operazioni peritali. Secondo il dettato di tale norma, i CT possono partecipare alle operazioni peritali, proponendo al perito specifiche indagini e formulando osservazioni e riserve. Dunque la valenza partecipativa dei consulenti tecnici alle operazioni peritali si incentra sul profilo del dialogo diretto tra gli stessi e il perito. Tale comunicazione può esercitarsi sia rispetto all’attività deduttiva del consulente, che si esprime nella formulazione di osservazioni e riserve, sia con riferimento all’attività propulsiva, che si estrinseca nella proposizione al perito di specifiche indagini.
Il legislatore, al fine di garantire pienamente il contraddittorio, si è altresì preoccupato di assicurare ai consulenti tecnici la conoscenza dei risultati della perizia e quindi l’accesso al materiale periziato nell’ipotesi in cui i medesimi siano nominati dopo l’esaurimento delle operazioni peritali. In tale evenienza, come si evince dalla lettura del terzo comma dell’art. 230 c.p.p., i consulenti non solo potranno esaminare le relazioni del perito ma anche «richiedere al giudice di essere autorizzati ad esaminare la persona, la cosa ed il luogo oggetto della perizia», ferma restando la facoltà di predisporre una propria relazione acquisibile a seguito di una loro escussione dibattimentale.
Fin qui l’attività del consulente tecnico esaminata ricade, direttamente o indirettamente, nell’ambito dell’attività del perito. Vera novità del codice del 1988 rispetto al precedente si ha invece con l’articolo 233, come modificato dalla l. 397/2000, che individua l’ambito della consulenza tecnica fuori dei casi di perizia.
Il primo comma prevede che quando non è stata disposta perizia i CT nominati dalle parti possano esporre al giudice il proprio parere, anche presentando memorie.
In particolare l’articolo 233, comma 1 bis c.p.p. -«Il giudice, a richiesta del difensore, può autorizzare il consulente tecnico di una parte privata ad esaminare le cose sequestrate nel luogo in cui esse si trovano, ad intervenire alle ispezioni, ovvero ad esaminare l’oggetto delle ispezioni alle quali il consulente non è intervenuto..» -da un lato prevede per il CT la facoltà di visionare il materiale posto sotto sequestro, dall’altro gli conferisce il potere di visionare l’oggetto delle ispezioni già eseguite dall’autorità giudiziaria.
Riassumendo, quindi, il consulente tecnico non solo può essere autorizzato a visionare quanto ha costituito oggetto di accertamento peritale, ma anche ad esaminare quel materiale a disposizione dell’autorità giudiziaria che non abbia ancora costituito oggetto di perizia al fine di presentare al giudice una autonoma valutazione idonea a supportare le argomentazioni della parte.
Per far un esempio, nel caso di un processo penale per maltrattamenti a danno di un minore il CTP psicologo potrebbe allora ad esempio richiedere videocassette di scena di vita familiare sequestrate all’imputato dalla polizia e mai visionate dal perito nominato dal Collegio Giudicante.
2.2.1. Il diritto di indagine del consulente tecnico: quali sono i suoi limiti?
Per ciò che invece concerne il materiale non ancora raccolto dalla autorità giudiziaria, o che essa ha ritenuto comunque di non dover sequestrare, anche in campo specialistico il problema è il medesimo che affligge in generale il potere investigativo dei privati: la necessità di superare la mancata collaborazione di terzi.
Nell’ambito del procedimento penale l’attività del consulente sarà ad esempio assumere informazioni dai diversi soggetti coinvolti nella vicenda, operazione necessaria per poter valutare, attraverso l’uso dell’indagine psicologica, l’idoneità mentale del bambino a testimoniare.
La legge n. 397 del 2000 sulle indagini difensive riguarda unitariamente il potere di indagine privata, senza distinguere tra attività a contenuto tecnico ed altre attività. In linea di principio infatti le indagini disciplinate dal titolo VI bis del libro V del codice di rito possono essere compiute
indifferentemente dal difensore o, ai sensi dell’art 327 bis, co. 3 c.p.p., quando sono necessarie specifiche competenze tecniche, da esperti.
Principio generale è il consenso del privato. Nessun dubbio che il consulente possa procedere a svolgere indagini e accertamenti quando vi sia la oggettiva e spontanea disponibilità delle persone che si vuole ad esempio interrogare. Il consulente quindi potrà, naturalmente nel rispetto delle finalità poste dal suo incarico, sentire autonomamente persone, ispezionare luoghi, effettuare rilievi, eseguire test psicologici (nel campo della perizia psicologica) sui soggetti che ritiene idonei a fornire informazioni utili all’espletamento e del suo incarico e così via.
Naturalmente però egli non potrà obbligare in alcun modo le persone a rispondere alle sue domande.Di fronte al rifiuto di collaborare la legge n. 397 del 2000 prevede allora due possibili soluzioni.
Il difensore dell’imputato (in questo caso solo il difensore, non il CTP) infatti potrà chiedere che il soggetto sia interrogato dal pubblico ministero, oppure, in alternativa, potrà avanzare richiesta di incidente probatorio anche al di fuori delle ipotesi dell’art. 392, co. 1, c.p.p.
Le indagini del consulente potranno quindi avvenire tramite l’intervento dell’autorità giudiziaria.
E’ da notare poi come il terzo comma dell’articolo 228 c.p.p. dispone come, con riferimento alle indagini svolte dal perito nominato dal Giudice, «qualora, ai fini dello svolgimento dell’incarico, il perito richieda notizie all’imputato, alla persona offesa o ad altre persone, gli elementi in tal modo acquisiti possono essere utilizzati solo ai fini dell’accertamento peritale».
La norma non deve venire interpretata nel senso che il perito non possa riferire in sede dibattimentale, e cioè nel corso del suo esame nel processo, le frasi apprese durante le sue indagini peritali, ma solo nel senso che tali frasi non potranno venire utilizzate dal Collegio Giudicante nell’accertamento della verità storica. Fissata infatti la regola dell’utilizzabilità delle dichiarazioni rese dal perito in riferimento ai soli accertamenti peritali, ne consegue che le eventuali dichiarazioni potranno legittimamente influire sul giudizio tecnico da questi formulato, ma non potranno altresì essere valutate autonomamente dal giudice.
Ci si deve a questo punto chiedere se questa regola sia applicabile anche al consulente tecnico di parte. Questi infatti, come abbiamo visto, ben potrà effettuare indagini e sentire soggetti ai fini del suo incarico, ai sensi degli articoli 391 bis e seguenti se CTP della difesa, ai sensi dell’art. 359 c.p.p. se CTP nominato dal Pubblico Ministero, e in ogni caso, se nominati dopo l’esaurimento delle operazioni peritali, ai sensi dell’articolo 230, terzo comma. L’interpretazione più vicina alla sistematica del codice è quella che considera il ruolo del consulente tecnico extraperitale all’interno del dibattimento assimilabile a quello del perito in quanto mezzo di prova suscettibile di valutazione giudiziale e come tale disciplinato dall’articolo 228 co. 3 per l’eventualità che, dovendo argomentare sulle ragioni che hanno determinato la conclusione tecnica a cui è pervenuto l’esperto, vi possa essere incidentalmente il richiamo a dichiarazioni comunque percepite nell’ambito dell’istruttoria del consulente. Tali dichiarazioni hanno per obiettivo quello di essere assunte con l’unico scopo di rispondere a un quesito tecnico e come tali sono rigidamente disciplinate affinché siano utilizzate solo per decidere se il percorso argomentativo dell’esperto sia corretto e non possono essere utilizzabili per l’accertamento della verità da parte del giudice. Se così non fosse
si arriverebbe all’illogica conclusione che il perito, che per definizione è terzo rispetto alle parti e che oltretutto agisce sotto il controllo dei consulenti tecnici di parte che possono verificarne la correttezza dell’acquisizioni delle informazioni sulla persona offesa, soggiaccia a limiti più restrittivi di quelli che non ha il consulente tecnico di parte quando si trova a svolgere la medesima attività. Ne segue pertanto che il giudice non può tener conto ai fini dell’accertamento dei fatti delle dichiarazioni de relato provenienti dalla persona offesa, come ad esempio le frasi rilasciate dal bambino sentito dal CTP nell’ambito di un processo penale per abusi sessuali su minore, quando queste dichiarazioni vengano fornite dal consulente tecnico di parte e siano state assunte per rispondere al quesito tecnico posto.
3. I doveri del consulente tecnico di parte nel corso del dibattimento.
Per quanto infine concerne i doveri che gravano sul consulente nel momento in cui esso depone in dibattimento, atteso che l’art. 501, co. 1 c.p.p. richiama per l’esame dei consulenti le regole per l’esame testimoniale in quanto applicabili, non si può non accennare a due problemi di esegesi delle norme che non hanno una facile soluzione, come dimostra il contrasto giurisprudenziale in materia. Sto parlando anzitutto dell’obbligo per il consulente tecnico di parte di essere sottoposto, nel momento in cui depone in merito ai risultati della sua indagine tecnico scientifico, (o psicologica ) all’obbligo di dire la verità ex articolo 497, co. 2, c.p.p. Sul punto esiste forte contrasto in giurisprudenza. A fronte infatti delle decisioni che rilevano come l’impegno a dire la verità potrebbe pregiudicare gli interessi della parte, venutasi a trovare in potenziale conflitto con il consulente, e come la mancanza di tale obbligo per il CTP sarebbe confermata dalla mancata previsione di dare lettura della dichiarazione prevista dall’articolo 226, comma 2, c.p.p. per il perito -«Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo nello svolgimento dell’incarico, mi impegno ad adempiere al mio ufficio senza altro scopo che quello di far conoscere la verità e a mantenere il segreto su tutte le operazioni peritali - esistono decisioni che dispongono come tra le disposizioni sull’esame dei testimoni applicabili al CTP rientri anche la previsione di cui al secondo comma dell’articolo 497 c.p.p., recante la relativa formula di impegno a dire il vero. Secondo questo orientamento infatti in tale formula si parla di responsabilità morale e giuridica, oltreché di impegno a dire tutta la verità, che ben può intendersi come intenzione del legislatore nei riguardi del consulente tecnico perché il medesimo si ispiri ai principi di lealtà e sincerità che stanno alla base della formazione della prova nel processo penale, tanto più che l’apporto conoscitivo del consulente tecnico non si limita all’esposizione di valutazioni, ma contiene il più delle volte anche l’enunciazione di dati oggettivi.
Corretta parrebbe comunque essere l’esegesi delle norme che vede la configurazione del consulente tecnico quale ausiliare della parte, non vincolato formalmente a “rispondere secondo verità” e in quanto tale esonerato dall’obbligo di all’art. 497, co. 2, se si considera oltretutto come l’infedeltà del consulente sia condotta penalmente sanzionata.
Altro problema infine concerne il diritto del CTP di assistere alle udienze quale ausiliare della parte. Secondo parte della giurisprudenza infatti per l’esperto non varrebbe la regola stabilita dall’articolo 149 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura, e cioè che «l’esame del testimone deve avvenire in modo che nel corso della udienza nessuna delle persone citate prima di deporre possa comunicare con alcuna delle parti o con i difensori o i consulenti tecnici, assistere agli esami degli altri o vedere o udire o essere altrimenti informata di ciò che si fa nell’aula di udienza». Il quesito, che rimanda alla più generale interrogazione circa la vera natura dell’esperto nel momento in cui esso depone in dibattimento, non presenta facile ne univoca soluzione. Secondo un primo orientamento giurisprudenziale il consulente tecnico, prima del proprio esame, non potrebbe assistere all’attività istruttoria dibattimentale, in quanto la sua natura processuale sarebbe del tutto assimilabile a quella del testimone, e quindi varrebbe la stessa ratio prevista per il teste dall’articolo 149 delle norme di attuazione del codice di rito. (Assise Rovigo, 28.12.1992, in Giust. Pen., 1993, III, p. 291; Trib. Torino, 8.6.1990, in Giur. It., 1994, II, p. 78).
Secondo invece un orientamento di segno opposto, il divieto di assistere alle attività d’udienza stabilito per i testimoni dall’articolo 149 non si estende, ex art. 501 c.p.p., al CT di parte, che è al contrario perfettamente legittimato a partecipare all’intero iter processuale, anche prima del proprio esame. Infatti l’articolo 501 secondo questa particolare interpretazione estenderebbe ai consulenti tecnici le norme che regolano l’esame e non quelle da osservarsi prima dell’esame stesso.
Inoltre il sistema processuale attribuirebbe al consulente tecnico la funzione di assistente esperto della parte anche in abiti diversi da quelli strettamente legati alla deposizione. Ne sarebbe riprova il disposto della prima parte dell’art. 149 disp. att. c.p.p., che impedisce al testimone di comunicare, oltre che con le parti e i difensori, anche con i consulenti tecnici, nonché l’articolo 233 c.p.p. che consente alle parti, fuori dei casi di perizia, di nominare fino a due consulenti, attribuendo loro la facoltà di proporre autonomamente pareri e memorie, facoltà che presuppone necessariamente la cognizione diretta delle varie scansioni processuali.
Soluzione preferibile è senza dubbio quella di procedere all’apertura dell’istruttoria con l’esame dell’esperto, di modo che egli, una volta deposto, possa rimanere a fianco della parte durante l’intero dibattimento.
4 . Distinzione tra accertamenti tecnici non ripetibili (o irripetibili) da quelli ripetibili;
Una distinzione di fondamentale importanza, nell’ambito del processo penale, è quella che riguarda la natura degli accertamenti tecnici demandati a periti e consulenti.
Devono distinguersi, infatti, preliminarmente, gli accertamenti tecnici non ripetibili (o irripetibili) da quelli ripetibili; i primi sono definiti dall’art. 360 c.p.p. come quegli accertamenti che riguardano “persone, cose o luoghi il cui stato è soggetto a modificazione” (si pensi, ad esempio, ad accertamenti medico-legali su di una salma o su sostanze alimentari deperibili).
Il contenuto di tale norma deve essere integrato con quello dell’art. 117 delle norme di attuazione del c.p.p., che tratta degli accertamenti tecnici che determinano essi stessi, per le modalità (sovente distruttive) con le quali devono essere compiuti (es. l’autopsia), una modificazione delle cose, dei luoghi o delle persone, sì da rendere l’atto non ripetibile.
La distinzione fra accertamenti non ripetibili e ripetibili è particolarmente importante, per quanto concerne l’attività del Pubblico Ministero, nel corso delle indagini preliminari.
Affinché, infatti, il Pubblico Ministero possa conferire questo tipo di incarichi al proprio consulente tecnico, è necessario darne anticipatamente avviso all’indagato, alla persona offesa dal reato ed ai rispettivi difensori, al fine di consentir loro di partecipare al conferimento dell’incarico (in quella sede, quindi, tutti i precitati soggetti potranno non soltanto assistere a tale conferimento, ma potranno anche nominare propri consulenti tecnici, formulando osservazioni e riserve; essi, infine, avranno il diritto di prendere parte agli accertamenti cui procederà il consulente nominato dal Pubblico Ministero).
Codice di Procedura Penale
220 Oggetto della perizia
1. La perizia è ammessa (398, 495) quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche.
- Salvo quanto previsto ai fini dell`esecuzione della pena o della misura di sicurezza, non sono ammesse perizie per stabilire l` abitualità o la professionalità nel reato (102-105 c.p.), la tendenza a delinquere (108 c.p.), il carattere e la personalità dell` imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche.
221 Nomina del perito
1. Il giudice nomina il perito scegliendolo tra gli iscritti negli appositi albi (67-69 att.) o tra persone fornite di particolare competenza nella specifica disciplina (74 att.) . Quando la perizia è dichiarata nulla, il giudice cura, ove possibile, che il nuovo incarico sia affidato ad altro perito.
2. Il giudice affida l`espletamento della perizia a più persone quando le indagini e le valutazioni risultano di notevole complessità (2274) ovvero richiedono distinte conoscenze in differenti discipline.
3. Il perito ha l`obbligo di prestare il suo ufficio (70-72 att.; 366 c.p.), salvo che ricorra uno dei motivi di astensione previsti dall`art. 36.
222 Incapacità e incompatibilità del perito
1. Non può prestare ufficio di perito, a pena di nullità:
a) il minorenne (98 c.p.), l`interdetto (414 c.c.; 32 c.p.), l`inabilitato (415 c.c.) e chi è affetto da infermità di mente;
b) chi è interdetto anche temporaneamente dai pubblici uffici (28, 29, 31 c.p.) ovvero è interdetto o sospeso dall`esercizio di una professione o di un`arte (30, 31, 35 c.p.);
c) chi è sottoposto a misure di sicurezza personali (215 c.p.) o a misure di prevenzione;
d)chi non può essere assunto come testimone (197) o ha facoltà di astenersi dal testimoniare (199) o chi è chiamato a prestare ufficio di testimone (120, 194 s.) o di interprete (143);
e) chi è stato nominato consulente tecnico (225, 233, 359) nello stesso procedimento o in un procedimento connesso.
223 Astensione e ricusazione del perito
1. Quando esiste un motivo di astensione il perito ha l` obbligo di dichiararlo.
2. Il perito può essere ricusato dalle parti nei casi previsti dall`art. 36 a eccezione di quello previsto dal comma 1 lett. h) del medesimo articolo.
- La dichiarazione di astensione o di ricusazione può essere presentata fino a che non siano esaurite le formalità di conferimento dell`incarico (226) e, quando si tratti di motivi sopravvenuti ovvero conosciuti successivamente, prima che il perito abbia dato il proprio parere (227).
- Sulla dichiarazione di astensione o di ricusazione decide, con ordinanza, il giudice che ha disposto la perizia.
5. Si osservano, in quanto applicabili le norme sulla ricusazione del giudice (3i).
224 Provvedimenti del giudice
- Il giudice dispone anche di ufficio (190, 468, 508) la perizia con ordinanza motivata (125), contenente la nomina del perito, la sommaria enunciazione dell`oggetto delle indagini (220), l`indicazione del giorno, dell`ora e del luogo fissati per la comparizione del perito.
2. Il giudice dispone la citazione del perito (398, 468, 508) e dà gli opportuni provvedimenti per la comparizione delle persone sottoposte all`esame del perito. Adotta tutti gli altri provvedimenti che si rendono necessari per l` esecuzione delle operazioni peritali.
225 Nomina del consulente tecnico
- Disposta la perizia, il pubblico ministero e le parti private hanno facoltà di nominare propri consulenti tecnici (233, 359; 38, 73 att.) in numero non superiore, per ciascuna parte, a quello dei periti.
- Le parti private, nei casi e alle condizioni previste dalla legge sul patrocinio statale dei non abbienti, hanno diritto di farsi assistere da un consulente tecnico a spese dello Stato (98) .
3. Non può essere nominato consulente tecnico chi si trova nelle condizioni indicate nell`art. 222 comma 1 lett a), b), c), d).
226 Conferimento dell` incarico
1. Il giudice, accertate le generalità del perito, gli chiede se si trova in una delle condizioni previste dagli artt. 222 e 223, lo avverte degli obblighi (70 att.) e delle responsabilità (373 c.p.) previste dalla legge penale e lo invita a rendere la seguente dichiarazione: consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo nello svolgimento dell`incarico, mi impegno ad adempiere al mio ufficio senza altro scopo che quello di far conoscere la verità e a mantenere il segreto (329) su tutte le operazione peritali".
2. Il giudice formula quindi i quesiti, sentiti il perito, i consulenti tecnici (225, 233-2), il pubblico ministero e i difensori presenti.
227 Relazione peritale
- Concluse le formalità di conferimento dell`incarico, il perito procede immediatamente ai necessari accertamenti e risponde ai quesiti con parere raccolto nel verbale.
- Se, per la complessità dei quesiti, il perito non ritiene di poter dare immediata risposta, può chiedere un termine al giudice.
3. Quando non ritiene di concedere il termine, il giudice provvede alla sostituzione (231) del perito; altrimenti fissa la data, non oltre novanta giorni, nella quale il perito stesso dovrà rispondere ai quesiti e dispone perché ne venga data comunicazione alle parti e ai consulenti tecnici (225, 233-2).
4. Quando risultano necessari accertamenti di particolare complessità (22 1-2), il termine può essere prorogato dal giudice, su richiesta motivata del perito, anche più volte per periodi non superiori a trenta giorni. In ogni caso, il termine per la risposta ai quesiti, anche se prorogato, non può superare i sei mesi (392-2).
5. Qualora sia indispensabile illustrare con note scritte il parere, il perito può chiedere al giudice di essere autorizzato a presentare, nel termine stabilito a norma dei commi 3 e 4, relazione scritta.
228 Attività del perito
- Il perito procede alle operazioni necessarie per rispondere ai quesiti. A tal fine può essere autorizzato dal giudice a prendere visione degli atti, dei documenti e delle cose prodotti dalle parti dei quali la legge prevede l`acquisizione al fascicolo per il dibattimento (431, 76 att.).
2. Il perito può essere inoltre autorizzato ad assistere all` esame delle parti e all`assunzione di prove nonché a servirsi di ausiliari di sua fiducia per lo svolgimento di attività materiali non implicanti apprezzamenti e valutazioni.
3. Qualora, ai fini dello svolgimento dell`incarico, il perito richieda notizie all`imputato, alla persona offesa o ad altre persone, gli elementi in tal modo acquisiti possono essere utilizzati solo ai fini dell` accertamento peritale.
4. Quando le operazioni peritali si svolgono senza la presenza del giudice e sorgono questioni relative ai poteri del perito e ai limiti dell`incarico, la decisione è rimessa al giudice (508-2), senza che ciò importi sospensione delle operazioni stesse.
229 Comunicazioni relative alle operazioni peritali
1. Il perito indica il giorno, l` ora e il luogo in cui inizierà le operazioni peritali e il giudice ne fa dare atto nel verbale.
- Della eventuale continuazione delle operazioni peritali il perito dà comunicazione senza formalità alle parti presenti.
230 Attività dei consulenti tecnici
1. I consulenti tecnici (225, 233-2; 38 att.) possono assistere al conferimento dell` incarico al perito (223-1 coord.) e presentare al giudice richieste, osservazioni e riserve, delle quali è fatta menzione nel verbale.
- Essi possono partecipare alle operazioni peritali, proponendo al perito specifiche indagini e formulando osservazioni e riserve, delle quali deve darsi atto nella relazione (227, 360-3).
3. Se sono nominati dopo l`esaurimento delle operazioni peritali (228), i consulenti tecnici possono esaminare le relazioni e richiedere al giudice di essere autorizzati a esaminare la persona, la cosa e il luogo oggetto della perizia.
- La nomina dei consulenti tecnici e lo svolgimento della loro attività non può ritardare l` esecuzione della perizia e il compimento delle altre attività processuali.
231 Sostituzione del perito
1. Il perito può essere sostituito (227) se non fornisce il proprio parere nel termine fissato o se la richiesta di proroga non è accolta ovvero se svolge negligentemente l`incarico affidatogli (70 att.).
2. Il giudice, sentito il perito, provvede con ordinanza alla sua sostituzione, salvo che il ritardo o l`inadempimento sia dipeso da cause a lui non imputabili. Copia dell`ordinanza è trasmessa all` ordine o al collegio cui appartiene il perito.
3. Il perito sostituito, dopo essere stato citato a comparire per discolparsi, può essere condannato dal giudice al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma da L. 300.000 a L. 3 milioni.
4. Il perito è altresì sostituito quando è accolta la dichiarazione di astensione o di ricusazione (223).
5. Il perito sostituito deve mettere immediatamente a disposizione del giudice la documentazione e i risultati delle operazioni peritali già compiute.
232 Liquidazione del compenso al perito
1. Il compenso al perito è liquidato con decreto del giudice che ha disposto la perizia, secondo le norme delle leggi speciali .
233 Consulenza tecnica fuori dei casi di perizia
1. Quando non è stata disposta perizia, ciascuna parte può nominare, in numero non superiore a due, propri consulenti tecnici (225, 359; 38, 73 att.; 223l coord.) . Questi possono esporre al giudice il proprio parere, anche presentando memorie a norma dell` art. 121.
2. Qualora, successivamente alla nomina del consulente tecnico, sia disposta perizia, ai consulenti tecnici già nominati sono riconosciuti i diritti e le facoltà previsti dall` art. 230, salvo il limite previsto dall` art. 225 comma 1.
3. Si applica la disposizione dell` art. 225 comma 3.